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Nel corso di trentacinque anni, dal 1975 al 2010, il fabbisogno di calcio è stato portato al triplo del suo valore reale. Il cavallo di battaglia che ha consentito all’industria del latte di fare la voce grossa in tutti questi anni vacilla.

Risultati preliminari presentati sull’American Journal of Epidemiology (Cummings 1997) sono poi stati confermati da Bischoff-Ferrari (2010) e Warensjo (2010): l’utilizzo degli integratori di calcio è associato con un raddoppio del rischio di frattura dell’anca. È la matrice proteica delle ossa, il collagene, che previene le fratture. Ossa che non sono flessibili, perché proporzionalmente inferiori in collagene rispetto alla parte dura e densa del solfato di calcio, possono frantumarsi di colpo.

Il fabbisogno consigliato di calcio di 1200, 1300 e in alcuni casi anche di 1500 milligrammi di calcio al giorno, dopo averci perseguitato per un paio di decenni, è stato ridimensionato perché si è scoperto che se l’introito di calcio supera il livello di 800 mg al giorno diventa causa di fratture ossee. I primi ad abbandonare il “paradigma del calcio” e ad abbassare la stima del fabbisogno a 700 mg al giorno sono stati gli organi di salute britannici (Institute of Medicine, 2011).

Ricercatori della Cambridge University nel 1995 fecero un piccolo tentativo di aumentare l’introito di calcio in donne del Gambia che ne consumavano solo 285 mg al giorno mentre allattavano. La cosa interessante è che rimanevano immutati sia il livello di calcio nel latte materno, sia i livelli di mineralizzazione ossea (Prentice 1995). Insomma i ricercatori dovettero prendere atto che il fabbisogno giornaliero di calcio è molto basso, circa 300 mg al giorno, superato il quale i livelli di calcio in più non portano benefici.

Interessante anche lo studio di Finch (1998) che tornava a calcolare il valore del fabbisogno medio secondo il vecchio modo, cioè in base all’efficienza di meccanismi di assorbimento attivo di calcio e il bilancio di perdite di calcio con urina, succhi digestivi e sudore. Cioè proponeva il metodo con il quale nel 1948 il fabbisogno di calcio era stato fissato a 300 mg (Food and Nutrition Board, US, 1948). Nel 1951 Hegsted aveva fatto presente che il fabbisogno di calcio è così basso, che non è possibile trovare popolazioni o individui che non arrivino a soddisfarlo già solo bevendo acqua o consumando cereali e verdure (Nicolls 1939, Kunerth 1939, Pittman 1939, McCance 1942). Fu osservato che diminuendo i livelli di calcio ingerito si verifica la situazione di quasi azzeramento dell’eliminazione di calcio. Si arriva al punto in cui quel calcio viene tutto ritenuto dall’organismo e viene persino riciclato (Nicolls 1939, Ellis 1933, Basu 1939, Potgieter 1940).

Quando invece l’apporto di calcio aumenta, gli organi emuntori si adoperano al loro meglio per eliminare la quota in eccesso che l’organismo si rifiuta assolutamente di assorbire (Leitch 1937, Owen 1940, Sherman 1920 e 1947). Gli ormoni presenti a livello intestinale agiscono in modo da limitare l’assunzione di calcio in circolo mentre quelli prodotti dalla tiroide si adoperano stimolando l’eliminazione del calcio dai tubuli renali. L’obiettivo è contrastare gli elevati livelli di questo minerale nel sangue che causano il fenomeno delle calcificazioni su muscoli e articolazioni in prima fila, ma anche tessuti vascolari e organi.

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L’avremmo dovuto pensare da soli che qualcosa non quadrava, soprattutto con quel pressing assurdo che abbiamo dovuto subire sul fronte del consumo di latticini.

Infatti – PRIMO PARADOSSO – Fontana (2005) registrava uno stato di salute ossea ottima e un minor rischio di fratture ossee in persone crudiste vegane rispetto alla popolazione generale, nonostante un apporto complessivo di calcio non all’altezza dei numeri ritenuti necessari. Sarà stato anche un po’ merito della vitamina C di cui notoriamente sono ricchi i cibi crudi? La vitamina C favorisce diversi tipi di attività enzimatiche che sicuramente tornano utili alla matrice di base delle ossa, chiamato collagene, che è formato da proteine e silicio! Il collagene è ciò che rimane di un osso quando viene deprivato di calcio in un bagno d’acido. È questa matrice flessibile che impedisce le fratture.

IL SECONDO PARADOSSO – Con l’incremento del consumo di prodotti caseari nei paesi occidentali, anche l’incidenza di fratture ossee è aumentata nelle stesse proporzioni (Van Hemert 1990, Nydegger 1991, Fujita 1992, Lau 1993a, Parkkari 1996, Lippuner 1997, Lips 1997, Versluis 1999).

IL TERZO PARADOSSO – Inizialmente si tentò di giustificare l’aumento di fratture osse che arrivava puntuale in ogni nazione in corrispondenza dell’aumento di consumo di latticini, attribuendolo a differenze nella genetica. Poi però si vide che l’incidenza di fratture ossee aumentava anche nelle popolazioni africane, cinesi o indiane nel momento in cui i loro consumi di latte incrementavano (Smith 1966, Barss 1985, Abelow 1992, Ju 1993, Kin 1993, Russell-Aulet 1993, Lau 1993b, Rowe 1993, Feskanich 1997, Memon 1998, Ho 1999, Schwartz 1999).

IL QUARTO PARADOSSO – Feskanich e collaboratori hanno monitorato 75.000 donne per 12 anni, nel cosiddetto studio delle infermiere, dimostrando che non solo non esistono effetti protettivi del consumo di latte sul rischio di fratture, ma addirittura c’è un effetto deleterio (Feskanisch Harvard Nurses’ Health Study, 1997). La stessa osservazione fu fatta da Michaëlsson (2003) che monitorò oltre 60.000 donne in Scandinavia. Se ne parla in un recente articolo scientifico dell’Università della North Carolina: «Se escludiamo alcuni studi che sono troppo piccoli o quelli che sono stati impostati in modo viziato, i dati scientifici fino ad oggi raccolti non supportano affatto l’efficacia dei prodotti caseari nel migliorare la salute ossea.» (Lanou 2009)

IL QUINTO PARADOSSO – Un caso clinico di calcificazioni renali viene presentato dalla d.ssa Annemarie Colbin: «Una giovane studentessa universitaria doveva sempre andare all’ospedale per asportare calcoli e depositi di calcio dall’uretere (il piccolo tubicino che porta l’urina dai reni alla vescica). Una volta, dopo l’intervento, i medici collocarono un tubo dai reni alla vescica per permettere all’urina di transitare, mentre l’uretere doveva cicatrizzare. Ebbene nel giro di un paio di giorni ci furono nuovi depositi di calcio nel tubo che lasciarono sconcertati i dottori. Scoprii che beveva latte tutti i giorni e che in ospedale ne aveva consumato mezzo litro al giorno. Nessuno in ospedale aveva dato peso a ciò. Io invece le suggerii di smettere completamente di consumare latte. Quando la rividi alcuni anni più tardi, seppi che non aveva più avuto recidive del problema, e anzi aveva avuto un bambino e godeva di ottima salute.» (Colbin 2009)

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IL SESTO PARADOSSO – La situazione di insufficiente mineralizzazione dell’osso non beneficiavano dall’integrazione del calcio secondo osservazioni di Hannon (1934), Liu (1935), Maxwell (1935), Steggerda (1946), Snapper (1950) and Hegsted (1951), Stearns (1951). Rileggendo gli studi degli esperti sul calcio tra gli anni 1920 e 1950, scopriamo che il fabbisogno di calcio è molto basso e che il nostro corpo ha una funzione di riciclo di calcio molto buona. Infatti le uniche possibili situazioni di carenza di calcio erano quelle imputabili a disturbi metabolici primari nei quali i mitocondri delle cellule non funzionavano più bene. Negli anni Ottanta nacque il “paradigma del calcio”, ovvero la comunità scientifica auspicò che potesse essere possibile ovviare ai danni alle ossa da cattiva alimentazione e accumulo di tossicità da metalli con un po’ più di calcio. Ma trent’anni dopo i più informati iniziano di nuovo a vedere la futilità di questa speranza.

Sembra proprio che aumentare l’introito di calcio con integratori o con latticini non migliori lo stato di salute delle ossa e che finisca invece per creare problemi di vario tipo, a volte anche gravi. Il dottor Richard Malter riporta il caso significativo di una paziente che, avendo letto dei pericoli dell’osteoporosi, iniziò a prendere supplementi di calcio. Entro pochi mesi iniziò ad avere episodi ciclici di depressione, insieme con episodi d’ingiustificata rabbia o attacchi di pianto. La paziente diventò persino suicida. Ad un certo punto incontrò il dottor Malter, che le dimostrò l’eccesso di calcio mediante un’analisi del capello. Poche settimane dopo aver preso atto di ciò e aver smesso di prendere calcio, gli attacchi d’ansia scomparvero, lo stato depressivo migliorò tantissimo e la salute mentale della paziente tornò alla normalità (Malter 1994).

Altri fatti rilevanti che il “paradigma del calcio nel latte” ha ignorato:

(1.) Quando il prof. Ralph Steinman nel 1961 modificò l’alimentazione base per topi che produceva solo 1 carie nella vita adulta aggiungendovi latte commerciale in gran quantità, il numero medio di carie saliva a 9.4!

(2.) Quando assumiamo nella dieta troppo calcio, ovvero è in atto la diffusione passiva del calcio, questo implica una ridotta capacità di assorbimento di magnesio. È il magnesio che regola gli ormoni responsabili di una buona salute ossea. È la carenza di magnesio che compromette gli enzimi che assicurano una buona salute ossea. L’eccesso di calcio provoca carenza di magnesio.

(3.) La carenza di magnesio riduce l’attività dell’enzima fosfatasi, essenziale per l’assorbimento del calcio nelle ossa. L’enzima fosfatasi contenuto nel latte è stato completamente distrutto dalla pastorizzazione. Per questo la salute ossea si riduce consumando il latte commerciale invece di quello crudo o materno, come dimostrano vari autori del secolo scorso: Pottenger (1939 e 1946), Sprawson (1934) e Steinman (1961). Per questo la rivoluzione del commercio del latte ha portato in tutte le nazioni un incremento del fenomeno delle fratture ossee!

Fonte: disinformazione.it