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Un’idea nata dalla mente di Sandro Russo, 27 anni, laurea magistrale in Economia dell’Ambiente, dello Sviluppo e del Territorio conseguita all’Università di Roma Tre. Russo, che ha avuto diverse esperienze nei settori dell’agricoltura sociale e dell’economia solidale, ha messo a frutto una passione miscelata agli studi e ricorda con soddisfazione la sua prima esperienza, quando gestì insieme ad alcuni colleghi di facoltà un orto alle pendici del monte Soratte con l’obiettivo di organizzare iniziative di partecipazione alla semina e al raccolto. Nel panorama delle nuove generazioni, Sandro ha l’aspetto di una “mosca bianca”. Perché trovare qualcuno che sviluppi conoscenze universitarie su determinati argomenti è difficile da intercettare, pure col lanternino. “Bioradar” è un sogno trasformato in progetto prima e in idea vincente oggi.

Partiamo dal termine “biologico”, forse fin troppo abusato anche da chi neanche sa dove sia di casa il cosiddetto “bio”. Lei che ne pensa?

«In realtà non vorrei iniziare un’intervista ingannando subito i lettori, però mi sento in dovere di fare una precisazione fondamentale: non credo al termine biologico come viene inteso comunemente dalla gente, ovvero come qualità aggiunta di un prodotto determinata da un semplice certificato. Io credo nella parola biologico che indica genuino, sano e che ha a che fare con la qualità della nostra vita. In un certo senso quando parlo di biologico intendo il termine nel suo significato originale».

Quando nasce la sua iniziativa, il “Bioradar”?

«Bioradar nasce un anno e mezzo fa durante un periodo in cui all’università iniziavo ad approfondire le dinamiche dell’economia territoriale, ambientale e industriale. Insieme a un amico abbiamo organizzato all’interno della facoltà un gruppo d’acquisto solidale che si riforniva dai piccoli produttori locali presenti all’interno della riserve naturali di Roma. In poco tempo abbiamo ottenuto un ottimo successo. Studenti e professori potevano ordinare la spesa sia su Facebook che per e-mail e venire poi a ritirarla direttamente all’università. Sebbene i prodotti venduti fossero di qualità e il risparmio economico nell’acquistare con il Gas fosse notevole sentivo che c’era ancora qualcosa da migliorare. E’ stato allora che è nata l’idea di Bioradar».

Ecco, entriamo nello specifico: di cosa si tratta?

«Si tratta di una web-application, ma questo spiega ben poco, me ne rendo conto! Per dirla in parole semplici è un sito internet e nel contempo un’applicazione per smartphone. In pratica consiste in una mappa del nostro territorio (quella di googlemaps, per intenderci) sulla quale, appena si accede a Bioradar, viene mostrata la nostra posizione geografica e le attività che si trovano nelle nostre immediate vicinanze. Si tratta di piccole e medie realtà locali accomunate da più fattori qualitativi, come la vendita diretta, l’artigianalità, il rispetto per l’ambiente, per il lavoro e per la tradizione. Questo programma consente quindi ai consumatori di trovare generi alimentari (produttori con vendita diretta, gruppi d’acquisto, ristoranti…), non alimentari (laboratori artigianali, studi creativi) ed eventi, come mercatini e fiere, nelle vicinanze del posto in cui ci troviamo o in cui dovremmo andare, cambiando indirizzo della ricerca. Utilizzare Bioradar significa avere prodotti e servizi di qualità a portata di mano, agevolando così il taglio di filiera. Contemporaneamente questo progetto aiuta i produttori a farsi conoscere e a instaurare un rapporto diretto con i suoi clienti. Infatti i produttori possono registrare la loro attività da soli e sfruttare il proprio profilo e la propria bacheca per scrivere offerte, annunci e news agli utenti di Bioradar. E anche gli utenti stessi possono segnalare attività che conoscono e che ritengono adatte. E poi aggiungo che non è solo un sito, ma anche un applicazione per smartphone, per certi versi ancora più utile, dato che al giorno d’oggi non ci stacchiamo mai dal cellulare. Consumatori e proprietari, o gestori di attività, possono entrare in contatto fra loro e tengo a precisare però che non parliamo di e-commerce. E’ un innesto tra un social network e un motore di ricerca focalizzato su determinati parametri: il risparmio, il rispetto per l’ambiente e per l’etica del lavoro, la qualità e la solidarietà».

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Quando c’è stato lo start?

«Bioradar è online da poco più di un mese, ma stiamo già riscuotendo numerosi consensi. Tanti consumatori hanno scritto dicendo che da tempo aspettavano un servizio del genere. E anche i gestori delle attività e i proprietari delle piccole realtà del nostro territorio, i veri protagonisti, stanno mostrando fiducia nel progetto: proprio qualche giorno fa un fornitore di prodotti artigianali si è registrato e ha lanciato l’iniziativa di sconto su tutti suoi prodotti per gli utenti di Bioradar».

E’ un progetto esportabile all’estero?

«E’ un’applicazione supportata da googlemaps e di conseguenza esportabile in tutto il mondo. Diciamo che il progetto lo consentirebbe, ma dipenderebbe comunque dall’interesse o meno dei consumatori e dei produttori a intraprendere un nuovo modo di acquistare e di farsi conoscere e, di conseguenza, di vivere. Certo, si realizzerebbe un sogno, ma resto con i piedi per terra. Mi accontenterei che guadagnasse un posticino negli usi e costumi del nostro Paese ».

Quali sono i vostri numeri al momento?

«Solamente nella provincia di Roma si possono contare più di cento prodotti tipici locali; il comune agricolo di Roma è uno dei più grandi d’Europa e in esso sono presenti oltre cento aziende agricole. Aggiungo che con questi calcoli non sto tenendo conto di artigiani, laboratori né di iniziative ambientali e solidali. Lo stesso vale per il resto del territorio nazionale. E’ banale ma è la verità: l’Italia è un Paese ricco di piccole ma importanti realtà agricole, artigianali, culturali e artistiche. Il paradosso deriva dal fatto che poche di esse riescono a farsi conoscere. Il nostro obiettivo punta proprio a questo: dar voce alle piccole realtà locali tutelandone la qualità ed esaltando il valore del nostro territorio».

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Qual è la vostra forza?

«La forza di Bioradar credo sia proprio quella di mettere in collegamento due personaggi tipo, il produttore genuino e di qualità con il compratore più vicino a lui, sensibile all’ambiente e attento al risparmio. Seppure appartenenti a due categorie opposte, entrambi hanno determinati valori da rispettare e medesimo interesse a conoscersi».

C’è diffidenza al cospetto del termine “biologico”?

«Credo che la questione del problema risieda proprio nella parola biologico. Una persona che si trova a scegliere tra un prodotto da supermercato o industriale che ha un costo “x” e uno che costa di più solo perché etichettato come biologico, sicuramente – e aggiungo giustamente – sceglierà il più economico. Per questo la gente è ancora diffidente nei confronti del cosiddetto biologico: le persone sono diffidenti nei confronti del prezzo, non del significato che c’è dietro la parola. Credo che bisognerebbe aprire gli occhi su questo aspetto fondamentale: bisogna far scoprire alla gente che esiste un altissimo numero di piccoli produttori locali che con le loro attività consentono di sostenere un altro tipo di compravendita, abbattendo i costi alti del biologico. Bioradar nel suo piccolo punta a fare questo».

Cosa si intende davvero per biologico?

«Per me la qualità del prodotto, il rispetto per l’ambiente e per il lavoro, l’onestà dei prezzi sono sinonimi di biologico e parametri applicabili a qualsiasi genere di cosa».

In un mondo di manager lei, votato al biologico, mi sembra una mosca bianca. Sbaglio?

«Davvero la ringrazio per avermi dato della mosca bianca! Però devo ammettere che non sono l’unico giovane che decide di puntare tutto su un ritorno alle radici. Una piccola azienda agricola di agrumi nella provincia di Agrigento è gestita da miei coetanei, per esempio. La differenza è che oggi noi ragazzi possiamo gestire attività di questo tipo sfruttando internet e il mondo dei social network. Sarebbe da ipocriti negare l’importanza che hanno i nuovi media nella gestione di attività di qualsiasi tipo, piccole o grandi che siano. Come vede in fondo non sono poi tanto una mosca bianca, anche io in un certo senso cerco di diventare un manager. Solo che il proprietario dell’azienda… sono sempre io»..